Vitamina D e coronavirus: facciamo chiarezza

Mascherina e integratori

Negli ultimi giorni una relazione di 2 docenti dell’Università di Torino che metteva in guardia sui possibili rischi da ipovitaminosi D nei riguardi del coronavirus auspicando la supplementazione, è stata ripresa da diverse testate nei termini di “studio dell’Università di Torino” che dimostrava effetti della vitamina D nella prevenzione e nella terapia del coronavirus.

Ma quali sono i possibili effetti della vitamina D sul coronavirus? Ecco cosa sappiamo al momento.   

Cosa diceva la relazione dei docenti torinesi

In un documento indirizzato alla classe medica, il professor Giancarlo Isaia, Docente di Geriatria e Presidente dell’Accademia di Medicina di Torino, e il professor Enzo Medico, Professore Ordinario di Istologia all’Università di Torino, in data 25 marzo 2020, hanno portato all’attenzione i possibili rischi derivanti da condizioni di ipovitaminosi D nella prevenzione e nella resistenza al COVID-19. In particolare, a detta degli autori, “il raggiungimento di elevati livelli plasmatici di vitamina D sarebbe necessario per prevenire le numerose patologie croniche che possono ridurre l’aspettativa di vita delle persone anziane, ma anche per determinare una maggiore resistenza all’infezione COVID-19”. Gli autori precisano che la prima considerazione sarebbe supportata da “numerose evidenze scientifiche e considerazioni epidemiologiche”, mentre la seconda “da minor evidenza scientifica, ma potrebbe essere considerata verosimile” (1).

Auspicano inoltre che “il compenso possa essere raggiunto con un’adeguata esposizione solare, alimentandosi di cibi ricchi in vitamina D e assumendo specifici preparati farmaceutici sotto controllo medico”, indicando che questa raccomandazione è utile soprattutto “per i soggetti già contagiati, i loro congiunti, il personale sanitario, gli anziani fragili, gli ospiti delle residenze assistenziali, le donne in gravidanza, le persone in regime di clausura e tutti coloro che per vari motivi non si espongono adeguatamente alla luce solare”. Aggiungono infine che “potrebbe essere considerata la somministrazione in acuto del calcitriolo per via endovenosa in pazienti affetti da COVID-19 con funzionalità respiratoria particolarmente compromessa” (1).

Cosa sappiamo oggi sulla vitamina D e le infezioni

Sebbene sia assolutamente vero che adeguati livelli plasmatici di vitamina D siano utili a mantenere un adeguato stato di salute, contribuendo quindi anche alla prevenzione di stati patologici, come anticipato anche dagli autori stessi, pochi dati si trovano in letteratura sulle relazioni tra vitamina D e coronavirus.

Osservando le fonti citate dagli autori, l’unica fonte che si riferisce al COVID-19 nello specifico è una revisione narrativa non sottoposta al processo di peer-review (2), pertanto priva di validità scientifica, mentre gli altri studi riguardano le associazioni tra livello di vitamina D e malattie croniche, soprattutto a livello polmonare, e infezioni virali (1).

Sicuramente la carenza di vitamina D è un problema reale in alcune fasce di popolazione, soprattutto in età geriatrica, dove l’86% delle donne avrebbe livelli sierici <10 ng/ml di 25(OH)D – molecola attraverso cui viene valutato lo stato nutrizionale della vitamina D -, mentre il livello di soglia prudenziale indicato dalla Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello scheletro è pari a 30 ng/ml (3). Al momento, tuttavia, non esiste un accordo circa la concentrazione sierica di 25(OH)D ‘ideale’: la WHO definisce come normalità livelli sierici >25 ng/ml, mentre la IOF > 30 ng/ml (3).

Dal punto di vista della dieta, solo pochi alimenti contengono vitamina D – aringa, salmone, tonno, tuorlo d’uovo, burro, fegato (4) – tant’è che nella popolazione italiana l’apporto giornaliero medio con la dieta non supererebbe i 2 µg/die (5); la maggior parte della vitamina D è invece prodotta dalla sintesi endogena grazie all’esposizione solare (4).

Considerando sia l’introito con gli alimenti che la sintesi endogena grazie l’esposizione solare, fino all’80% del fabbisogno totale (3), il fabbisogno per un adulto secondo i LARN sarebbe pari a 15 µg/die, che salirebbero a 20 µg/die dopo i 75 anni (3).

In conclusione, nonostante il noto ruolo della vitamina D nel sistema immunitario e l’esistenza di studi che relazionano bassi livelli di vitamina D con peggiori outcome di infezioni virali, non sembrano esservi ad oggi dati sufficienti a disposizione per raccomandarne una supplementazione ‘massiva’ nella popolazione nei riguardi della prevenzione e della gestione del coronavirus.

In un documento pubblicato ad aprile 2020,  la Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU), pur riconoscendo l’effettiva carenza di vitamina D, soprattutto nella popolazione più anziana, ribadisce che, sia riguardo la prevenzione delle infezioni respiratorie sia riguardo l’esito dei pazienti affetti da infezioni respiratorie, gli studi d’intervento nell’uomo non hanno fornito risposte conclusive o particolarmente promettenti. Di conseguenza, allo stato attuale delle conoscenze, non è affatto comprovato che la correzione di una carenza di vitamina D sia utile a rafforzare il sistema immunitario e a prevenire o attenuare il decorso di infezioni in genere e infezioni respiratorie in particolare. Infatti, se gli studi sperimentali sono molto promettenti riguardo ad un possibile ruolo protettivo della vitamina D, la situazione attuale relativa ai risultati degli studi clinici è purtroppo molto meno incoraggiante (6). 

  1. Giancarlo Isaia ed Enzo Medico, Possibile ruolo preventivo e terapeutico della vitamina D nella gestione della pandemia da COVID-19. Università di Torino, documento 25.3.20.
  2. Grant, W. B., Lahore, H., McDonnell, S. L., Baggerly, C. A., French, C. B., Aliano, J. L., & Bhattoa, H. P. (2020). Vitamin D Supplementation Could Prevent and Treat Influenza, Coronavirus, and Pneumonia Infections.
  3. SINU. (2014). Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana–IV Revisione. Società Italiana di Nutrizione Umana.
  4. Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (2019). Dossier Scientifico delle Linee Guida per una sana alimentazione (Edizione 2018).
  5. Sette, S., Le Donne, C., Piccinelli, R., Arcella, D., Turrini, A., Leclercq, C., & INRAN-SCAI 2005–06 Study Group. (2011). The third Italian national food consumption survey, INRAN-SCAI 2005–06–part 1: nutrient intakes in Italy. Nutrition, Metabolism.
  6. Società Italiana di Nutrizione umana (2020). VITAMINA D E IMMUNITÀ: tra verità e wishful thinking