Plastica: un fattore di rischio ambientale che contribuisce all’obesità

plastica e obesità

Attraverso una tecnica analitica in grado di analizzare e rilevare le sostanze presenti in un campione (nota come spettrometria di massa), i ricercatori della Norwegian University of Science and Technology sono riusciti ad analizzare alcune sostanze chimiche presenti nella plastica (anche ad uso alimentare), tra cui bisfenolo A e ftalati e, in particolare, la loro capacità di interferire nel processo di formazione del tessuto adiposo (noto come adipogenesi), evidenziando come queste siano effettivamente in grado di bloccare il metabolismo, partecipando così all’aumento di peso e infine alla possibile insorgenza dell’obesità. È quanto emerge da uno studio recentemente pubblicato su Environmental Science & Technology (1) che utilizza come modello la linea cellulare 3T3-L1, presente nel tessuto adiposo umano, derivata da cellule 3T3 di topo e frequentemente utilizzata nella ricerca biologica sul tessuto adiposo (2).

Sostanze chimiche che alterano il metabolismo

Nel tempo i ricercatori hanno trovato oltre 55.000 diversi componenti chimici nei prodotti di plastica e sono riusciti a identificare 629 sostanze. Tra queste, 11 sono ormai note per interferire con il metabolismo, in particolare su fertilità e sviluppo e, grazie a questo studio, sono ora ritenute responsabili anche di interferire con l’adipogenesi e, dunque, con un probabile aumento di peso.
In seguito all’esposizione delle cellule 3T3-L1 a sostanze che alterano il metabolismo, infatti, si evince come le cellule si differenzino in adipociti, la cui funzione è conservare energia sotto forma di trigliceridi durante i periodi di abbondanza calorica e facilitare il recupero durante periodi di scarsità e deficit calorico, come il digiuno, la fame e l’esercizio fisico protratto (3). In altre parole, la loro funzione è contribuire alla formazione di massa grassa con funzione di “deposito energetico” per quando l’organismo richiederà energia “pronta al consumo”.

Plastica e obesità: quale nesso?

Lo studio ha incluso nell’analisi 34 campioni di plastica, di cui 21 a contatto con gli alimenti (come bottigliette di acqua o yogurt da bere, barattoli di yogurt o contenitori per frutta e verdura, pellicole, etc.) e 13 non a contatto (1). Tra le sostanze rilevate, erano presenti ftalati e bisfenolo A, ormai noto per la sua azione come interferente endocrino e recentemente riconsiderato dall’EFSA in un nuovo parere scientifico per valutare rischi sulla salute e nuovi limiti (4). Per evitare problemi di associazione a priori (come bias di conferma), tuttavia, i ricercatori hanno deciso di includere nell’analisi tutte le sostanze plastiche rilevate (precedentemente caratterizzate) e non i singoli composti differenziati di cui per alcuni, come anticipato, gli effetti sono già noti.

A seguito delle analisi effettuate, è emerso come alcuni prodotti plastici contenessero sostanze note che alterano il metabolismo, altri prodotti invece sostanze non note, ma comunque in grado di indurre lo sviluppo degli adipociti. Ciò significa che la plastica potrebbe contenere sostanze chimiche attualmente non identificate che tuttavia interferiscono con il modo in cui il nostro corpo immagazzina il grasso e, pertanto, per il futuro, oltre a continuare la ricerca sul tema, sarebbe necessario limitare al massimo l’esposizione a questi fattori ambientali di rischio metabolico.

1. Völker, J., Ashcroft, F., Vedøy, Å., Zimmermann, L., & Wagner, M. (2022). Adipogenic activity of chemicals used in plastic consumer products. Environmental Science & Technology.
2. Guru, A., Issac, P. K., Velayutham, M., Saraswathi, N. T., Arshad, A., & Arockiaraj, J. (2021). Molecular mechanism of down-regulating adipogenic transcription factors in 3T3-L1 adipocyte cells by bioactive anti-adipogenic compounds. Molecular biology reports, 48(1), 743-761.
3. Lafontan, M. (2005). Fat cells: afferent and efferent messages define new approaches to treat obesity. Annu. Rev. Pharmacol. Toxicol., 45, 119-146.
4. EFSA (2021). Bisfenolo A: in un parere provvisorio l’EFSA propone di abbassare la dose giornaliera tollerabile.